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FILOSOFIA DI LUIS SAL

Il flusso di coscienza, per gli inglesi più nazionalisti stream of consciousness, è una tecnica narrativa nata nel XX secolo britannico e diffusasi, poi, in tutto il panorama letterario europeo e non solo. A farla da padrone sono le parole, simboli di immagini che appaiono a scomparsa nella nostra mente, e che nemmeno la punteggiatura, il più delle volte, riesce a contenere. Ciò che rende il tutto più che affascinante è la presa di coscienza del fatto che il linguaggio prenda vita. Diviene a tratti struggente vedere tutte quelle parole che, dal foglio del nostro libro o dallo schermo del nostro Kindle, lottano contro la propria stessa natura per cercare di uscire dallo schematismo linguistico ecumenico, che le rende irrimediabilmente SOLO parole, segni. La semiotica del flusso di coscienza prende vita in due momenti: in primis quando cerca di ridare vita ad uno stile prettamente incarcerato, quale è la narrativa; in secundis quando ne restituisce un significato.

Potrà sembrare assurdo e forse snaturante, ma riteniamo che Luis Sal, famoso youtuber del tutto e del niente, abbia fatto evadere la semiotica dalla propria stessa prigione, cancellandone del tutto la prigionia, ma per nulla l’impeto e la vitalità.

Luis sal è un flusso di coscienza. Luis sal È il flusso di coscienza. Le parole sul foglio o sullo schermo hanno, tout court, un solo vincolo, quello di essere subordinate, anzi, asservite ad uno scopo, il fine comunicativo. Il flusso di coscienza letterario tenta di scardinare le parole dal foglio, impregnandole di un’azione che non potrà mai essere agita. Luis Sal, di fatto, ed è questo il punto, è il flusso di coscienza che agisce.

I più dogmatici linguisti affermerebbero che il linguaggio plasma il pensiero filogeneticamente, il che significa che il linguaggio ha plasmato il pensiero dell’uomo nel corso della sua evoluzione. Altre branche linguistiche affermerebbero l’opposto. Noi, invece, affermiamo che, nello specifico e quasi fantascientifico caso del flusso di coscienza, pensiero e linguaggio siano costretti a genuflettersi al cospetto dell’AZIONE.

Luis Sal agisce. Lo youtuber bolognese ha più volte parlato della sua minimalista filosofia del Fare. In fondo, l’ironico video sul Luismo dell’8 febbraio 2018 sottolinea le dialettiche morali, ancor prima di quelle etiche, che una filosofia del fare possa implicare in una società aggrappata ad un dover-fare o, ancor peggio, ad un esser-fatto. L’agire di luis, si intenda, è un’azione scevra da qualsivoglia obbligante imperativo di qualsiasi natura. L’azione di Luis è un FARE, persino quando è figlia di richieste o domande.

Come è possibile, dunque, che Luis Sal sia in grado di liberarsi dalle catene necessarie di un Agire?

L’azione è la caratteristica primaria dell’uomo, ma l’agire per l’azione è spesso un’utopica realtà appartenente alla più fuorviante interpretazione kantiana. Si agisce per uno scopo, sia esso pratico o astratto, come ad esempio la visibilità, che è uno scopo indiretto o, direbbero, appercettivo, nella misura in cui ciò che è visibile ha maggiori probabilità di essere notato e ingaggiato, in qualsiasi accezione si voglia intendere l’ingaggio. L’azione, se sociale, ha uno scopo ben chiaro e definito, che lo rende, in fondo, dover-agire o esser-agito. La fenomenologia francese parla di Touchant-touché, nella misura in cui ciò che si tocca è a sua volta toccato, in una affascinante coincidenza di essere ed apparire.

Luis Sal è, appare, agisce. Il nodo, evidentemente, non è ancora sciolto. L’analisi va compiuta ancora più a fondo.

Riteniamo che per poter risolvere l’enigma sia necessario porsi una ulteriore domanda, un sub-quesito. In che modo appare Luis Sal, e a chi?

Luis appare in quanto toccante, ma non appare mai come toccato. La socialità di Luis è paradossale. È come se la materia aristotelica non avesse una forma, il che porta il tutto al confine tra senso e non-senso.

Sergio Lerme (1) non esiste quando esiste Luis, e Luis non esiste quando esiste Sergio Lerme. Ma, soprattutto, Sergio Lerme non esiste e non esisterà mai IN Luis. Sergio ha costruito da sé un Émile in un procedimento che ci appare molto simile alla divisione cellulare: ne deriva una personalità del tutto sociale, in cui coesistono toccante e toccato, ed un’altra paradossalmente sociale, in cui al toccante non corrisponde un toccato. Il paradosso sta nell’incompletezza, nella misura in cui essere coincide con un apparire privato del suo potere scalfitore. Touchant≠touché (o, meglio, Touchant≠ - .) Diviene più accessibile, a questo punto, la prima domanda sulla possibilità di un Luis libero dalle catene dell’agire necessitato.

Luis Sal è l’Emilio di Rousseau, ma è anche animale sociale. Luis Sal abita il confine tra ciò che appare e ciò che non-è perchè, in questo unico caso, il non-essere conviene con l’apparire.

Luis Sal, dunque, non-è, appare, agisce. L’azione è libera. È una parola che diventa identità, diventa verbo, diventa parabola di un possibile che si realizza, e lo fa da solo.

Non è un caso, capirete, che il flusso di coscienza, in quanto rappresentazione linguistica dell’associazione delle immagini, goda di una rilevante influenza psicanalitica delle ricerche di Breuer prima ancora che di Freud. Ciò che è altro, ciò che è parallelo, è convenzionalmente folle. Ecco l’errore più grande della storia dell’uomo.

Il paradosso continua.

Note. (1)Nome all’anagrafe di Luis Sal


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