La storia che state per leggere non è una storia dell'orrore, nè tantomeno parla di fantasmi, ma fa allo stesso modo paura per il periodo in cui è ambientata e per le conseguenze che ha avuto. È la storia di un anarchico, Alfredo Maria Bonanno, e delle 2 "bombe" che gettò sul panorama culturale italiano. La prima è esplosa nel 1977, nel pieno dei movimenti studenteschi che si spensero in marzo, quando a Bologna un carabiniere sparò a Francesco Lo Russo, un giovane militante di Lotta Continua. 3 mesi dopo, il giornalista Indro Montanelli, all'epoca leader del Giornale e che era stato così duro nei confronti del 68 e del 77, è vittima di un attentato da parte delle Brigate Rosse. Franco Benisoli gli spara 8 colpi, 4 di questi lo colpiscono alle gambe. Con lui ci sono due complici, Lauro Azzolini e Calogero Diana. In seguito all'incidente, Alfredo Maria Bonanno getta la sua "bomba", un piccolo libro edito dalla casa editrice Edizioni Anarchismo intitolato: "La Gioia Armata". Nel libro Bonanno scrive queste parole di fuoco: "Ma perché questi benedetti ragazzi sparano alle gambe di Montanelli? Non sarebbe stato meglio sparargli in bocca? Certo che sarebbe stato meglio. Ma sarebbe stato anche più pesante. Più vendicativo e più cupo". Bonanno rincara la dose legittimando i movimenti studenteschi del 77, invitando i proletari e gli studenti ad armarsi contro il capitale e lo sfruttamento del mondo del lavoro. Il libro finisce praticamenge al rogo, e l'ambiente culturale italiano lo condanna ferocemente per la sua immoralità. In seguito a queste parole così feroci, Bonanno viene condannato a un anno e sei mesi di galera. Non prima però, di farsi venire un'idea geniale per uno scherzo diabolico. Il mondo nell'intelligencija è talmente scosso dall'uccisione di Francesco Lo Russo che persino Jean-Paul, rilascia un'intervista a Lotta Continua dicendo: "Non Posso accettare che un giovane militante, sia assassinato per le strade di una città governata dal partito comunista".
A Bonanno si accende una lampadina e gli rimarrà accesa per tutto l'anno in carcere.
Quando esce di galera, la seconda bomba è servita su un piatto d'argento.
Siamo nel 1978, nel pieno degli Anni Di Piombo. Nelle strade, insieme ai bossoli dei proiettili e agli ordigni esplosivi, cadaveri innocenti sono segni tangibili del regolamento di conti tra terroristi neri e terroristi rossi. Dietro tutto ciò, c'è la loggia P2 di Licio Gelli, che avendo in mano Esercito, Guardia di Finanza, e Polizia; cercò in tutti i modi di far saltare in aria l'assetto politico italiano, con le lacrime e con il sangue.
16 marzo 1978, all'alba del quarto governo Andreotti, il leader della D.C. Aldo Moro vieni rapito dalle Brigate Rosse e dopo 55 giorni di prigionia, i suoi carcerieri gli sparano 12 colpi. Il cadavere verrà ritrovato nel bagagliaio della sua Renault 4, in Via Caetani a Roma, che è emblematicamente vicina sia a Piazza Del Gesù (sede della D.C.) che a Via Delle Botteghe Oscure (sede del P.C.I.).
I giá menzionati Benisoli e Azzolini, che attentarono alla vita di Montanelli, vengono arrestati per il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro.
Viene fatto crollare con il sangue, l'accordo governativo che riconciliava la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, e che tanto spaventava Andreotti. Lo stesso Andreotti complice e membro della P2, e quindi con tacito assenso di tutti, responsabile del caso Moro. Tutti lo sanno, nessuno può incastrarlo. È un ragionamento analogo che fece Pasolini nel 1974, un anno prima di essere ucciso:
«Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace». Pasolini era già morto da tre anni quando morì Moro, eppure lui che gli Anni di Piombo li aveva visti iniziare ma non finire, aveva capito tutto, e ha pagato con la vita. Se è vero però che Pasolini si era sporcato le mani, non si può dire lo stesso di tutti gli altri intellettuali.
La morte di Moro scatenò una spaccatura nell'intelligencija italiana tra chi rimase in silenzio (per riflessione o per viltà, si chiedeva Norberto Bobbio) e chi come Calvino e Moravia condannarono aspramente il terrorismo come "anti-repubblica". Seppur Moravia insieme a Leonardo Sciascia fecero una duplice condanna con il loro: "Nè con lo Stato, nè con le Brigate Rosse".
È anche vero però che lo Stato siamo noi, e che il nostro silenzio e la nostra viltà non miglioreranno di certo le cose. Le stragi, tutto quel sangue, vengono aggravati dal silenzio degli intellettuali chiusi per la paura nelle loro "torri d'avorio", come Montale che ammette di non avere il coraggio di andare a testimoniare contro le Brigate Rosse. Ecco, è a questi intellettuali, messi in ginocchio da un periodo così duro, che il nostro Alfredo Bonanno, uscito di galera, dà il colpo di grazia.
La seconda bomba. Sempre per Edizioni Anarchismo, traduce con un nome fittizio un'opera di un anarchico francese del 1800: Joseph Déjacque. Lo scherzo sta però nel fatto che Bonanno attribuisce la paternità del testo a Jean-Paul Sartre.
Il libro esce: "Sartre-Il mio testamento politico", e vomita rabbia già dalla copertina che riporta alcuni passi dell'opera:
"Fuorilegge è il governo, tutti i governi, tutta la borghesia, tutti i proprietari, i bottegai e gli industriali. Ogni padrone che sfrutta il lavoro, la produzione, la miseria e la fame del proletariato. Sì, fuorilegge!"
L'opera di Déjacque in seguito incita all'insurrezione armata, alla violenza, ad uccidere i padroni. Questa, è l'ultima doccia fredda per l'ambiente culturale italiano ormai al collasso, che si vede tra le mani un testo attribuito a Sartre, così violento, feroce e pessimista.
Rimasero tutti destabilizzati dal fatto che anche Sartre, un intellettuale che l'anno prima aveva denunciato l'Italia per la morte di Francesco Lo Russo, aveva perso talmente le speranze nella società da divenire così violento.
Lo scherzo diabolico di Bonanno va a segno, mettendo definitivamente in luce la pochezza culturale degli intellettuali italiani, incapaci persino di distinguere un testo contemporaneo di Sartre da quello di un anarchico francese del 1800.
Il falso, era diabolicamente fatto ad hoc e il testo tradotto di Dejacque era dannatamente attuale, ma ciò non poteva far altro che dare la conferma di un'Italia ormai al collasso, anche perchè il mondo intellettuale non riusciva a dare esempi forti di moralità in contrapposizione ai barbari che insanguinavano le strade.
Si sparse talmente la voce, che di quello scherzo ne venne a sapere persino Sartre!
Umberto Eco, sulle pagine dell'Espresso, citò e smaschera il falso di Bonanno, ormai divenuto un oggetto di culto. Eco lodò la diabolicità perfettamente riuscita dell'opera ma mise in luce anche un problema fondamentale:
"E se qualcuno iniziasse a fare dei falsi fatti benissimo e impossibili da smascherare, fino a cosa arriveremmo a credere?". Il dubbio inquietante di Eco era legittimo, e la risposta sta nella politica che abbiamo davanti agli occhi, fatta di misteri, depistaggi, notizie e occultate e cumuli e cumuli di bugie, sempre più difficili da smascherare.
Il 1977, mise fine nel sangue alla parabola dei movimenti studenteschi iniziati nel 1968, e la maggior parte di quelli che vi hanno partecipato, sono diventato gli stessi borghesi che combattevano da giovani. Quel 9 maggio in cui morirono Aldo Moro e Peppino Impastato, mise fine al 1978. La morte di Jean-Paul Sartre (che intanto aveva denunciato per diffamazione Bonanno) e la strage della bomba nella stazione di Bologna a opera dei neofascisti dei Nuclei Armati Rivoluzionari, misero fine a quegli Anni di Piombo così insanguinati.
Il sangue però non si è fermato, e ancora oggi non si può non guardare con sospetto e qualche brivido, quella casa dei fantasmi così spettrale, che corrisponde al nome di Stato.
Comentários