Mille Deleuze: 26 anni dal taglio
Aggiornamento: 25 nov 2021
C’è una sottocutanea tendenza nella filosofia deleuziana. Non mi riferisco al paradosso o alla controintuizione. Deleuze fa filosofia in intermittenze, in segmenti, in eventi temporali differenti della narrazione concettuale. È la filosofia di un balbuziente o di un bambino singhiozzante che continuerà a parlare fino al pianto. Ma il pianto non è l’interruzione del flusso concettuale. Se il flusso scorre, l’interruzione non ne configura il contrario. Cosa è “interruzione”? «Precisamente il regime di scorrimento di un flusso, la sua erogazione, continua o segmentata, più o meno libera o strozzata» (Zourabichvili, 2012, p. 77).
L’interruzione è il “taglio", il momento in cui la macchina (desiderante, filosofica, concettuale) ricomincia daccapo.
Il 4 novembre 1995 Deleuze si defenestra. La malattia lo avrebbe ucciso di lì a breve. Spesso si è riflettuto sulla presenza o meno di una motivazione teorica che andasse al di là della semplice esasperazione per la sofferenza. Uno studioso attento potrebbe argomentare in modo interessante, o forse inutilmente problematizzante, sulle contraddizioni tra il Deleuze del 27 maggio 1980 della lezione a Vincennes su linee di fuga e linee di vita e quello del 4 novembre 1995.
Ora mi interessa altro. Trattare Deleuze come un autore ancora attuale è vero solo in certi casi (il caso dell’estetica, a mio avviso esplorata ancora troppo poco; il caso della metafisica e della fenomenologia, sulle quali si sta riflettendo da pochi anni). Il problema di Deleuze è, come sempre, un problema di proiezione dei deleuziani. A partire dal lessico, che è assolutamente un non problema se utilizzato in maniera sostanziale e non come dispositivo di fascino, Deleuze resta molto spesso ingarbugliato nel significante di una filosofia che ora sta cambiando.
Sarebbe strano il contrario. Una filosofia perpetua non avrebbe necessità di esistere. Allora il problema torna ad essere quello del taglio e del flusso. Deleuze ha tagliato Deleuze, 26 anni fa. Ora il flusso riprende, il flusso non si interrompe ma ricomincia daccapo. Non cambia piano, non muta il foglio, ma continua a scrivere.
Che i deleuziani ripartano da una filosofia deleuziana e non da Deleuze. È questo l’unico modo, forse, per evitare che la piega si ripieghi all’infinito.
«C’è un profondo legame tra i segni, l’evento, la vita , il vitalizio.
È la potenza di una vita non-organica, quella che può esservi in una linea di disegno, di scrittura o di musica. Solo gli organismi muoiono, mai la vita. Non c’è opera che non indichi alla vita una via d’uscita, che non tracci una strada percorribile Tutto quello che ho scritto è vitalità, o almeno lo spero, e costituisce una teoria dei segni e dell’evento».
(Deleuze, Pourparler, p. 190)
Andrea Francesco de Donato studia filosofia all’Università Cattolica di Milano. Ha conseguito certificazioni musicologiche e pianistiche tra il Conservatorio di Salerno, la Yamaha Music School e il Trinity College. È fondatore e direttore editoriale di “Pourparler”.