Tutte le notti è uno sfebbrare...
Tutte le notti è uno sfebbrare insonne di vissuti e di abiti
troppo stretti: tra merletti di un intimo ricamato e intimità lise;
è tosse che – crisi – divide dentro e fuori a convulsione. Ultimo
segno di purificazione il corpo lascia sul cuscino bianco e le
coperte gualcite: umido di sudore; umido di umore.
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Un corpo a corpo, della lotta è un corpo quello che compromesso rimane nella debole sua esistenza; in qualche forma di resistenza, giunta – come mani in preghiera – al suo punto ultimo di contatto, si volta di schiena a mostrare la nuca nuda e ossee verità. Farne lettura estrema, da destra verso sinistra – verso per verso – sarà la nostra unica possibilità di riscatto.
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Scopri vivere nella mia carne ferite come quelle fatte con i fogli di carta: a darne
sapore il sangue, ancora (per) poco. Sai calcolarne misura e peso e fondo, ma ora
– solo ora – hai imparato da dove leggere.
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Quel che fatto a mano di me rimane in luogo di qualche memoria, si conserva intatto in un corpo nudo
di ogni cosa; in forma di storia senza fine che sia stata scritta ancora. E così a contatto
con la carne, in un intarsio di senso e di scoperta, trova seme e terra che sempre gli sia nuova.
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Abitare una nuda proprietà per una vita – intera o a metà ha poca importanza – lascia un segno di appartenenza; eppure il limite tra forma di dimora e sostanza di viaggio non è chiaro. Ciò che certo rimane è il durare della distanza, di un testimone passato – senza traccia di martirio.